Medici e professionisti
ROTTURA DEL TENDINE D’ACHILLE:
TRATTAMENTO RIABILITATIVO POST-CHIRURGICO
Negli ultimi anni il continuo aumento del numero e dell’età media delle persone che praticano attività sportiva, ha portato ad un conseguente incremento di lesioni tendinee, tra le quali la rottura del Tendine d’Achille è una delle più frequenti. È bene ricordare che oltre agli sportivi (maggiormente esposti a questi traumi) queste lesioni possono interessare anche pazienti di una certa età che presentano patologie vascolari, disturbi metabolici e ormonali, oppure che fanno uso di particolari farmaci che possono indurre una rottura spontanea.
La classificazione della rottura del Tendine d’Achille si può così riassumere:
- traumatica (recente – inveterata)
- dismetabolica (acuta – subacuta – cronica)
- infiammatoria (acuta – cronica)
Il Tendine d’Achille origina dalla fusione dell’aponeurosi dei muscoli gastrocnemio e soleo; solitamente la rottura è localizzata a circa 3-6 cm dall’inserzione calcaneare del Tendine in quanto questa è la porzione meno vascolarizzata e più sottile. Le lesioni che avvengono distalmente, a livello dell’inserzione calcaneare del Tendine, sono quelle a prognosi peggiore. Raramente la rottura è netta, infatti i due monconi si presentano sfrangiati e sflilacciati. Il trattamento è chirurgico tranne in pazienti molto anziani o che non possono sottoporsi ad interventi chirurgici ai quali viene riservato il trattamento conservativo. Le tecniche chirurgiche più usate prevedono: la semplice Sutura Termino-Terminale, Plastiche di Rinforzo, ricostruzioni con Tendini di Banca; in tutte queste tecniche si praticano lunghe incisioni chirurgiche (interventi a cielo aperto). Ci sono poi le tecniche a cielo chiuso per via endoscopica.
Il trattamento riabilitativo occupa un ruolo di primaria importanza affinchè il paziente torni a livelli funzionali precedenti senza deficit di forza. Una stretta collaborazione tra chirurgo e fisioterapista ci permette di raggiungere ottimi risultati sempre rispettando i tempi biologici dei tessuti lesi.
I protocolli di recupero post-chirurgico devono confrontarsi con diverse problematiche: mantenere la caviglia immobilizzata in equinismo oppure no? Per quanto tempo mantenere l’immobilizzazione? Quando concedere il carico completo? Quando togliere definitivamente il tutore? Quando e secondo quali parametri di riferimeno concedere il ritorno all’attività sportiva?
Fase Riabilitativa
Il processo riparativo di una rottura tendinea impiega diverse settimane, e soprattutto nella prima fase, il tendine viene protetto con un gesso o con un ortesi rigida. Naturalmente questo lungo periodo di immobilizzazione comporta atrofia muscolare e rigidità articolare.
Il fisioterapista dovrà consultarsi con il chirurgo ortopedico che ha eseguito l’intervento, poiché è il solo che può fornire utili informazioni per impostare un corretto intervento riabilitativo. In particolare l’ortopedico può fornire informazioni sull’estensione della lesione, sulla qualità dei monconi tendinei, sul tipo di sutura e quindi sulla tenuta della riparazione.
Il trattamento riabilitativo post-chirurgico ha una durata di circa 12 settimane (salvo complicazioni) con il ritmo di 3 sedute alla settimana alternate fra palestra e piscina.
Gli obiettivi terapeutici nella prima fase riabilitativa (obiettivi a breve termine) sono:
- controllo dell’infiammazione e dell’edema
- prevenzione delle aderenze
- prevenzione dell’atrofia muscolare
- recupero dell’escursione articolare
Al paziente possono essere insegnati esercizi, da eseguire a domicilio, di stretching in dorsiflessione con l’ausilio di un asciugamano ed esercizi di contrazione muscolare.
L’idrokinesiterapia viene iniziata quando la ferita lo permette. La possibilità di lavorare in acqua costituisce uno degli strumenti più efficaci nel contrastare il dolore e nella ripresa funzionale più completa.
Gli obiettivi nella fase di maturazione e rimodellamento (obiettivi a medio e lungo termine) sono:
- recupero completo dell’articolarità e della forza muscolare
- recupero dell’elasticità tissutale
- ottimizzazione del recupero tendineo
Dal 2-3° mese si possono inserire esercizi con sollevamento sulla punta dei piedi e si continua poi il potenziamento muscolare con esercizi di rinforzo che coinvolgono l’intero arto inferiore.
Riabilitazione propriocettiva
Questa rappresenta una fase importantissima per la ripresa della normale attività del piede, che molte volte viene trascurata.
I recettori propriocettivi sono recettori nervosi estremamente specializzati e sono presenti in un numero molto elevato nelle strutture articolari, soprattutto su legamenti e tendini. Il loro compito è quello di inviare continuamente informazioni sullo stato di stiramento di tali tessuti per permettere al nostro sistema nervoso di reagire in modo adeguato ed estremamente rapido con contrazioni della muscolatura, idonee a stabilizzare l’articolazione e quindi conservare i rapporti articolari stessi, anche in situazioni dinamiche particolarmente stressanti per la caviglia. Tali recettori forniscono anche informazioni necessarie per il mantenimento dell’equilibrio nello spazio.
In seguito ad un trauma, la lesione di alcune fibre articolari e tendinee, l’insorgenza di edema delle strutture e gli stimoli dolorosi alterano il sistema di feed-back “stimolo propriocettivo-risposta neuromuscolare”, aumentando i rischi di recidive a carico dell’articolazione colpita.
Diventa fondamentale per il riabilitatore, recuperare nel minor tempo possibile le capacità propriocettive e stimolarle per restituire all’articolazione traumatizzata la piena efficienza e funzionalità.
La rieducazione neuromuscolare della caviglia e del piede generalmente passa attraverso fasi diverse, nelle quali gli stimoli preposti al paziente subiranno un incremento per quantità e qualità; sarà inoltre importante variare il più possibile gli stimoli stessi cambiando i parametri del movimento (asse, range e velocità).
Per la rieducazione propriocettiva si utilizzano solitamente piani instabili, quali le tavolette Freeman o i dischi gonfiabili instabili; ma è possibile fare molto altro sfruttando l’uso di semplici attrezzi, stimoli manuali indotti dal terapista e il carico del paziente stesso sia in acqua che in palestra.
Ritorno all’attività agonistica del calciatore dopo la riabilitazione di ricostruzione del legamento crociato anteriore
La riabilitazione del ginocchio operato è essenziale per ottenere un buon risultato; viene effettuata secondo protocolli ben precisi a seconda della tecnica operatorio utilizzata, dal tipo di trapianto e dalla sua fissazione. Possiamo affermare che la preparazione atletica del calciatore operato di ricostruzione del legamento crociato anteriore può cominciare solo se si possono ritenere riacquisiti determinati fattori:
o Completa articolarità del ginocchio
o Completa assenza di manifestazioni dolorose e di gonfiore, anche in seguito ad eventuali esercitazioni o stress muscolari
o Discreto tono-trofismo dei muscoli estensori e flessori della gamba, dei mobilizza tori del femore, dei fissatori dell’anca e della caviglia.
Ciò ottenuto il calciatore esce dalla fase riabilitativa ed entra in un concetto di preallenamento atto come ultima fase alla reintegrazione nel gruppo squadra.
1 – Esercitazioni di preatletismo generale (primo periodo)
2 – Esercitazioni di preatletismo specifici (secondo periodo)
3 – Esercitazioni di tecnica vera e propria
PRIMO PERIODO (6 SETTIMANE)
· Elasticità del sistema muscolo tendineo
· Completa articolarità di ginocchio, anca e caviglia
· Ottimo livello organico e neuromuscolare (capacità e potenza aerobica, forza dinamica)
· Simmetria dei due arti in termini di spinta e coordinazione
Le esercitazioni in questo periodo di preallenamento saranno a prevalente carattere unidirezionale e utilizzeranno molto la palla.
Le esercitazioni nel secondo periodo di preallenamento sono atte a portare l’atleta ad una condizione fisico-atletica del tutto simile a quella del resto del gruppo, per poi poter passare all’ultima fase dove si riacquisisce la completa padronanza del gesto atletico specifico.
SECONDO PERIODO (6 SETTIMANE)
· Ritorno all’attività agonistica
· Rieducazione del complesso muscolo-tendineo e legamentoso del ginocchio alla funzione di torsione con spinta
· Ulteriore incremento del livello organico e muscolare (potenza aerobica, capacità lattacida, capacità di accelerazione)
· Superamento di eventuali ansie e preoccupazioni
· Riacquisizione del gesto tecnici specifico
Le esercitazioni di questo periodo di allenamento hanno la caratteristica di fondere in un unico movimento il gesto tecnico con quello atletico, con graduale e costante incremento dell’impegno e delle difficoltà.
Da una oramai ben nota e condivisa credenza, i maggiori professionisti nel campo atletico e sportivo, tendono ad inserire nei vari programmi di rieducazione e riallenamento l’utilizzo dell’atrezzo specifico anche in fase precoce. Questo per due motivi principali:
· Il primo, in qualche modo di carattere affettivo, risiede nel fatto che per il giocatore la palla, dopo un certo periodo di lontananza da essa, rappresenta un vero e proprio oggetto del desiderio. Tanta è quindi la voglia di tornare a palleggiare, calciare ecc. .
· Il secondo motivo, strettamente legato al primo, è che l’utilizzo del pallone può permettere, con notevole risparmio di tempo, l’incremento delle capacità prestative specifiche per il calciatore.
Inseriamo di seguito quello che potrebbe essere un esempio di progettazione del lavoro nel primo periodo precedente al ritorno all’attività agonistica. Nella prima e seconda settimana sono presenti solo tre sedute settimanali in quanto il passaggio dall’attività fisioterapica a quella di ricondizionamento deve essere graduale. La terza settimana invece prevede già quattro sedute settimanali.Per Circ. e Forza Sovr. Intendiamo un circuit training avente per obiettivo il potenziamento muscolare del busto e degli arti superiori a cui fanno seguito gli esercizi di forza con sovracarico per gli arti inferiori. Vanno effetuati entrambi in palestra prima di entrare in campo.
Le esercitazioni miste, ovvero quelle forse più specifiche per il calciatore in quanto miranti congiuntamente all’incremento delle qualità fisiche e tecniche, vengono svolte a seguire, insieme a quelle prettamente tecniche
GIORNO | 1° PERIODO – PRIMA E SECONDA SETTIMANA |
LUNEDÌ | Circ. e Forza Sovr. – Es. Miste – Tecn. – Cap. Aer. |
MARTEDÌ | Circ. e Forza Sovr. – Es. Miste – Tecn. – Cap. Aer. |
MERCOLEDÌ | Forza Sp. – Tecn. – Pot. Aer. |
Mantenere una buona posizione
A tutti è capitato, dopo un viaggio alla guida dell’ auto di un paio di ore senza soste, di uscire dalla macchina con la schiena indolenzita. Se siamo già sofferenti probabilmente sarà più di un fastidio, arrivando ad essere bloccati e ci vorrà del tempo per ripristinare la corretta posizione eretta.
Ma cosa è accaduto? Mentre siamo alla guida, rimaniamo sempre nella stessa posizione, bloccando la parte inferiore della schiena per poter liberare la parte superiore, deputata a sostenere le braccia per il controllo del volante e per poter permettere il movimento degli altri inferiori per la gestione dei pedali.
Questo comporta, innanzi tutto, la contrazione e l’accorciamento dei muscoli che lavorano nella zona lombare. Siamo di fronte ad un irrigidimento della muscolatura, la quale avrà difficoltà, una volta liberata dalla posizione, di ripristinarsi in lunghezza, per via della permanenza nella stessa posizione che avrà provocato una riduzione del flusso ematico, con parziale esaurimento delle sostanze che nutrono le fibre muscolari e un ristagno delle sostanze residue dal lavoro muscolare.
L’accorciamento dei muscoli, in particolare di quelli brevi che lavorano a livello articolare, provoca una riduzione dello spazio articolare, per cui avremo un ulteriore schiacciamento dei dischi intervertebrali, già sollecitati dalla gravità., con riduzione dello scambio dei fluidi. Tale compattamento provoca la sollecitazione degli stessi dischi intervertebrali che verranno logorati secondo linee di forza che rimangono uguali, per cui il danno sarà sempre nella stessa direzione.
Come risultato avremo un irrigidimento della zona lombare, che si manifesterà con l’indolenzimento, e, a lungo andare, la possibilità di insorgenza di sofferenza dei dischi intervertebrali.
Cosa fare? Cambiare spesso posizione! “Ma sono in macchina! Come posso cambiare postura?”
Prima di tutto, sedersi in maniera corretta. Siamo abituati a salire in macchina, sederci e non fare attenzione a come ci siamo posizionati. Dedichiamo qualche secondo a sistemarci! Ascoltiamo i glutei! Devono fare la stessa pressione sul sedile della macchina, il bacino deve essere orizzontale. Quindi, avendo stabilizzato la base, possiamo estendere la colonna verso l’alto. Cerchiamo di non appoggiare il braccio sinistro sul finestrino e la mano destra sul cambio, ma di tenere le mani sul volante, non in alto, come ci hanno insegnato a scuola guida, ma in basso, in maniera simmetrica. È chiaro che non possiamo tenere sempre questa posizione, ma richiamarla frequentemente si.
È utile programmare frequenti soste. Ogni due ore, fermarsi, fare benzina, prendere un caffè o altro.
Infine, le automobili odierne permettono diverse soluzioni con il sedile.
Non regolare solo lo schienale, ma anche la seduta. Possiamo avanzare o indietreggiare, alzare o abbassare, anche di pochi millimetri, in modo da modificare i punti di pressione sui dischi e di forza sulla muscolatura.
Tutto questo potrà aiutarvi ad affrontare meglio il viaggio e la vostra giornata lavorativa, limitando quel fastidioso indolenzimento alla schiena. (L.T.)
Mangiare sano fa bene anche alla schiena!
Chi di noi non ha mai avuto un mal di schiena? Oppure quei dolorosi fastidi che scendono lungo le gambe? O è rimasto bloccato per il cosiddetto “colpo della strega?”
Per il dolore acuto, non facciamo o non abbiamo ricordo di cosa abbiamo avuto in precedenza, se lo sforzo non è stato supportato da una coerente postura, o se ero, sudato, in corrente d’aria o in ambiente freddo.
Tanto meno, credo che possiamo affermare con buona certezza, che pochissime persone hanno collegato il mal di schiena con una sofferenza dell’intestino.
Avete mai notato la cosa? Avete mai avuto periodi di stipsi o colite prima di un mal di schiena?
L’intestino, le viscere non sono sospese nel vuoto dell’addome, ma sono raccolte in un sacco che avvolge tutto l’apparato digestivo, seguendo ogni ansa e ogni tratto dello stesso (ricordiamo che l’intestino di ciascuno di noi è lungo circa sei metri!). Questo sacco si attacca, con una radice, il “mesentere”, alla parete anteriore della schiena a livello lombare con un’andatura trasversale e appoggia proprio di fronte alle vertebre lombari.
Questa radice è sensibilissima al funzionamento dell’intestino stesso, perché attraverso di essa ne passano i vasi e i nervi, per cui il mal funzionamento dell’organo si ripercuote sulla radice stessa. Questa, come reazione,si irrigidisce e tira sulla zona lombare.
La colonna per contrastare la forza esercitata dalla radice, sarà costretta a sviluppare un’azione uguale e contraria, per cui anch’essa si irrigidirà, provocando un aumento di tono della muscolatura e a lungo andare, può essere causa di lombalgia. Questo processo avviene sia in caso di stipsi che di colite.
Per cui una buona igiene dell’intestino, mangiando fibre e bevendo acqua in abbondanza, permette un buon funzionamento dello stesso e anche la schiena avrà dei benefici.
Problemi alla colonna vertebrale?
Secondo alcuni studi all’avanguardia circa il 70% delle persone di età superiore ai 40 anni è soggetta a protrusioni discali, ernie o assottigliamenti degli spazi intervertebrali.
Da questa constatazione si può dedurre che gran parte della popolazione convive in maniera asintomatica con problemi alla colonna vertebrale, che non vengono rilevati a meno che non venga eseguita un’indagine strumentale ( radiografia, risonanza magnetica, tac).
Quando compare un episodio acuto di dolore lombare, l’errore più comune è quello di attribuirlo all’ernia o alla protrusione che viene messa in evidenza dall’indagine strumentale. Molto probabilmente, invece, queste già esistevano in precedenza e solamente nel 10% dei casi rappresentano la vera causa del dolore.
Il comune “mal di schiena” può avere diverse origini e può essere la somma di diverse cause.
Alcune delle cause più frequenti sono:
– contrazioni o spasmi del muscolo. Essi producono dolore diffuso che viene accentuato dal movimento attivo della colonna. Possono essere causati da movimenti errati, posture statiche inadeguate o traumi.
– Problemi viscerali. Alcune patologie o disarmonie nei visceri possono irradiare il dolore a livello lombare. Un chiaro esempio è il mal di schiena delle donne durante periodo mestruale (o premestruale).
– Deformità, instabilità e la lesione neurologica: compaiono dopo un trauma, o sono scompensi derivati dalla scoliosi.
– Ernie e protrusioni discali: sono la causa del dolore lombare in una piccola percentuale di pazienti; provocano spesso dolore riferito agli arti inferiori.
– Artrosi: esordisce danneggiando la cartilagine presente tra le vertebre e con il tempo deforma il tessuto osseo e le articolazioni vertebrali.
Qualunque sia la causa del vostro mal di schiena, un buon fisioterapista/osteopata possiede i mezzi per comprenderne la causa ed intervenire in modo mirato.
Gli interventi chirurgici sono adatti ed indicati solamente per una piccolissima parte di pazienti.
L’assunzione di farmaci è utile per superare l’episodio acuto di dolore, ma, se assunti per molto tempo coprono il problema senza sapere che in realtà se ne sta generando un altro futuro più grave.
La strada più corretta ed ideale consiste proprio nell’individuare la vera causa della vostra lombalgia, trattarla e cercare di mantenere l’equilibrio raggiunto dopo i trattamenti a cui siete stati sottoposti.
Dr.ssa Monica Costalunga
Fisioterapista